mercoledì 10 settembre 2008

Capitolo quindici: Vanacaramalasa

By Vespero Pictures, Images and Photos

"Il Re vuole vederti", sussurra Araba Fenice.


Nel salone risuona un campanello, uno di quelli da reception, e tutta la gente che ho intorno si ferma di colpo. Sono ore che cerco di farmi venire in mente dove ho già visto le loro facce, dove ho già sentito le loro voci. Ogni volta, la sensazione è la stessa di quando si ha un nome sulla punta della lingua, pronto a sfuggire in continuazione.
Non mi dispiaceva questo posto, quando Araba Fenice mi ha portato qui, dopo ore a guidare in una strada che si contorceva di curve nel buio. C'era un'aria da film di 007: tutti questi riccastri tirati a lucido, giovani e vecchi, innaturalmente belli e un po' plasticosi. Sorriso smagliante e cocktail in mano.


Mi sono navigati intorno per tutta sera. Navigati, sì sì. Come pesci predatori: abbastanza lontano, ma mai troppo. Sempre vicini a sufficienza per controllare cosa facevo, sentire il mio odore, ascoltare i miei discorsi. E fare in modo che io ascoltassi i loro.
Nulla di incredibile, all'inizio. Discussioni di lavoro, di impegni, come se ne sentono a decine, qui, solo con argomenti per me un po' più interessanti del solito. Film da girare. Romanzi da scrivere. Album in preparazione.
Sempre con quel modo di fare da circolo esclusivo di artisti. Da circolo esclusivo massonico di artisti, in cui i rapporti di potere e di obblighi si percepiscono invisibili e potenti come ley-lines tra una persona e un'altra.


Eppure, se ascolti con quella strana predisposizione che hai spesso da ubriaco, in cui ti concentri più sui discorsi di sottofondo che su quelli in primo piano, cogli un paio di battute strane.

Alcuni parlano di maschere di Carnevale, ad esempio. Arlecchino, Pierrot, Colombina... cose così. Devono essere stranieri, forse inglesi. Ogni tanto storpiano i nomi, facendoli suonare in modo involontariamente buffo: Harley Quin, Pierre Hot.
Ma nel tono con cui ne parlano non c'è nulla di divertente. E' pieno di un rispetto misto a timore reverenziale, quasi si stessero riferendo a strane divinità in carne ed ossa, capaci di fulminarle nello stesso momento in cui sto scrivendo queste righe.
Un medico tedesco che mi hanno presentato di sfuggita e che non si è mai tolto i guanti, mi guarda proprio mentre ne stanno parlando. Si assicura che stia curiosando nei loro discorsi, fa un sorriso soddisfatto, mi fa vergognare come un cane e riprende a discutere con gli altri.


Poi, come dicevo, il campanello suona. E l'aperitivo alla 007 diventa una foto di gruppo dei fantasmi di Shining.


Si voltano tutti a guardarmi. Tutti.

Araba Fenice viene verso di me. Mi porge una mano e gliela stringo forte, mentre continuo a guardarmi attorno.
Tutti sorridono, qualcuno annuisce. Il medico tedesco batte le mani in un applauso educato. Se ne aggiunge un altro e un altro ancora, finché il mondo intorno si curva in un unico sorriso affilato, con cui non sono troppo sicuro di voler avere a che fare.
Araba Fenice mi trascina dolcemente con lei, fuori dal salone, giù per le scale.
"Ci rivediamo nei fumetti!", mi dice qualcuno in mezzo agli altri. Non so se sia una battuta ma, tanto per non correre rischi, annuisco e faccio un sorriso che spero non suoni troppo nervoso.

Scendiamo. E' una scala buia, ci credereste? uguale a quella di cui vi parlavo qualche tempo fa. Mi appoggio per un momento al muro e sono sicuro che tra poco riascolterò lo stesso urlo, lo stesso grido ibrido, la stessa sensazione di dover correre, lontano e forte, perché qualcosa che è più veloce di te sta salendo per quei gradini.
"Ti senti come Alice davanti alla tana del Bianconiglio?", mi chiede sottovoce, quando siamo rimasti noi, pochi scalini da fare e una porta chiusa.
"Un po' "
Mi stringe forte una mano e apre la porta.

Dentro, lo stanzone in cui siamo è grande quasi quanto la sala degli aperativi che ho appena lasciato. In realtà, lo è un po' di più, vuoto com'é e con una serie di larghissime lenzuola trasparenti, a delimitarlo lungo tutte le pareti. Una via di mezzo tra la sala della Loggia Nera e il collegio di Suspiria. Ed esattamente come in Suspiria, un respiro pesante, affaticato, di sottofondo.
Il respiro di qualcosa dalla mole enorme. Puzza di disinfettante. Profumo con retrogusto di merda. Un pavimento che sento appiccicaticcio, ogni volta che muovo un passo.

"Non si potrebbe accendere la luce?"
La mia voce sta diventando nervosa.
Un rumore grasso e liquido, un brutto brontolio di stomaco nell'oscurità.
"Il Re dice che non c'è motivo per cui negarti questo favore", dice Araba Fenice, e una luce si accende.

Si accende dietro una delle tende. Non molto forte, quanto basta per illuminare una gigantesca sagoma nera di cui non si riescono a indovinare altro che i contorni. E i contorni disegnano quello che appare come un trono. Un trono su cui è seduto qualcuno... da dietro la tenda non riesco a capire chi sia.

Potrei azzardarmi a dire che non capisco nemmeno cosa sia. Quando alza una mano per salutare, l'impressione che ho è che sia fatta più di gelatina, che di carne.

E' quella cosa a produrre il brontolio di stomaco. Freme ogni volta che si sente quel suono, come se qualcosa la scuotesse in profondità.

"Il Re è molto felice di vederti", traduce di nuovo Araba Fenice.
Chiudo gli occhi. Li riapro. Mi scrocchio le dita e mi rendo conto di un ghigno isterico che mi è appena germinato sulle labbra, senza che riesca (o voglia) fare molto per impedirlo.
"Una volta per tutte... che cosa siete, voi?"
"Siamo i Poeti Estinti, Hanuman. Tutti quelli che hai visto di sopra, fanno parte della nostra famiglia. Molti li hai riconosciuti, per quanto si siano sottoposti a qualche operazione, per passare un po' più inosservati. Sì, quello accanto all'entrata era davvero Paul McCartney, non uno che gli somiglia e nemmeno il sosia che ha suonato coi Beatles per tutto questo tempo. E' quello che ha lasciato tracce di sé dappertutto... quello morto. Quello di Paul is dead. E, come lui, ce ne sono tanti altri."
"Mi stai prendendo in giro"
"Può darsi. E può darsi di no. A te la scelta"
"Ma che cosa siete?"
"Chi siamo, Hanuman - sussurra Araba Fenice, con il sorriso che riappare sbiadito - Siamo pur sempre umani, per ora. Siamo un'unica grande famiglia, con uno scopo comune"

Mi viene più vicina, mentre lo sussurra. Il brontolio di stomaco sembra un tuono. Un tuono di carne e succhi gastrici.

"Far sì che le persone costruiscano miti su di noi. E rendere questi miti così forti, così potenti, da trasformare noi stessi in leggende urbane, storie raccontate di bocca in bocca a cui credere ciecamente... non più umani ma divinità. Nuove divinità pop"

Qualcosa nel mio stomaco si piega e si fa molle. Qualcosa che spinge per essere rigettato fuori ORA, ADESSO. Le gambe tremano per un momento, poi è tutta questione di trovare una sorta di baricentro e rimango in piedi. Per il momento.

"Sai benissimo chi é il Re - sogghigna Araba Fenice - Non hai bisogno di farti cantare Fever. Se lo vedi così, è perché si è avvicinato più di tutti noi ai nostri scopi. E' pura potenzialità, è fatto dello stesso tessuto indefinito e mutevole dei racconti. Altre volte, quando le storie su di lui diventano statiche e ripetitive, la sua carne si fa della consistenza del marmo..."

Un altro gorgoglio ci interrompe.
"Dice che anche tu, spacciandoti per un personaggio dei tuoi racconti, scrivendo una storia in cui mescoli ciò che appartiene ad Hanuman e al suo scrittore, percorri la nostra strada. Potresti diventare qualcosa di interessante... non più di un semidio letterario, intendiamoci. E comunque ci vorrebbe del tempo, ci vorrebbero degli insegnamenti"
Vorrei chiederle allora cosa vogliono, perché proprio io. La gola si graffia in un gracchiare di suoni a casaccio.
"E quindi perchè mi avete invitato? Per dirmi questo?", chiedo finalmente, cercando di articolare ogni parola con calma.
Il Re fa un rumore diverso, adesso. E' come se cercasse di parlare ma, di nuovo, gli escono di dosso solo rivoli di suoni ripugnanti. Araba Fenice annuisce.
"No. Ciò che il Re vuole che tu sappia, è un'altra cosa"

Si fa ancora più vicino alle mie labbra. Le sfiora, mentre parla.

"La bomba non ha una natura gentile... ", canticchia sull'aria di una vecchia canzone di De André, prima che una botta fortissima alla testa riempia tutto di puntini neri.