sabato 18 ottobre 2008

Capitolo diciotto: Torovoronopotodozosocofoqomo

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La sensazione di un bel pezzo mancante continua.
Per quanto mi sforzi, per quanto resti lì a pensarci su, non riesco a recuperare quel capitolo sul mio blog, scomparso di colpo. Potrebbero averlo cancellato loro, i Poeti Estinti.
Il problema è che, pur non dovendo averlo scritto troppo tempo fa, non ricordo per niente di cosa parlasse.

E, proprio come Eco aveva previsto, salta fuori nei commenti un tizio che mi raccomanda di cercare un certo Von Beck, se voglio una mano.
Una mano in cosa?
Non ci sto più capendo niente.
Così, una sera ne parlo a lei, a Regina. Non la vedo da un pezzo, grossomodo da quando sono andato via.
Immagino che tutto il mio parlare possa avervi convinti che noi Narratori Criminali siamo cellule serratissime, organizzate, che ci vediamo sempre, che pianifichiamo cose, che formiamo piccole tribù. In parte é vero, in parte non lo é. In questi giorni, nessuno mi ha cercato e nemmeno io ho cercato nessuno. Si è sempre respirata quest'aria strana, che ho imparato ad assaporare spesso, in compagnia di Regina o di Eco. L'aria di qualcosa di imminente che sta arrivando, l'aria di doversi preparare.

Da chi, da cosa, non saprei.

Dopo un mucchio di tempo, è Regina che mi chiama. Mi chiede come sto, cosa sto facendo, facciamo chiacchiere come due normalissimi amici.
Io ballo con i convenevoli, sorrido e faccio battute. Temporeggio un sacco, perché nel momento in cui la sento sorridere, in cui semplicemente la risento e basta dopo non so neanche io quanto tempo, non ho voglia di fare altro che scherzare, parlare di tutto e nulla, respirarla a pieni polmoni.
Finché non ce la faccio più. E una frase che mi ero ripromesso di non pronunciare, mi scappa di mano.

"Ho paura".

Lei fa un respiro profondo, preoccupato. "Fai qualcosa stasera?"
"No"
"Invece sì, sei impegnato. Esci con me. Ti vengo a prendere sulle nove e mezzo e ci facciamo una birra"

La birra andiamo a farla a casa sua. E' dove l'ho conosciuta, a Bologna, l'appartamento in cui abbiamo tenuto la festa e in cui poi abbiamo giocato a scacchi. La scacchiera, in effetti, è ancora lì, sul letto, stessa disposizione dei pedoni di come l'abbiamo lasciata.
Così, signore e signori, le racconto tutto. Il blog, i Poeti Estinti, i messaggi che mi arrivano ogni tanto, inquietanti come non mai, e anche certe cose che non ho ancora detto nemmeno ad Eco.
La sensazione di essere meno consistente ad esempio, che dura da un paio di giorni a questa parte. Come se tutto quello che sono venisse riscritto di continuo da qualcuno e, a volte, me ne riuscissi perfino a rendere conto.

"E’ la stessa sensazione che ho anche io, da qualche tempo a questa parte - mormora Regina, un po' più rivolta a se stessa che non a me – Che qualcuno ci stia riscrivendo. Non hai l’impressione che il tempo giri un po’ più veloce, ultimamente? Come se qualcuno stesse facendo degli stacchi"
"Non sono matto solo io, vero?"

Sul computer di Regina parte da solo Winamp, non appena finisco di dirlo, con Love will tear us apart dei Joy Division. Rimaniamo entrambi senza riuscire a parlare, per un po', le espressioni tese e tirate, rattrappiti come se ci avessero appena buttato una secchiata di acqua gelida.

Mi tiene stretta la mano.

“Non trovi sia molto confortante, essere matti in due?”, le chiedo.
Lei fa un sogghigno.
"Ti offendi se ti dico di no?"
"… penso che sopravviverò"

Poi Regina fa un sorriso un po' nervoso."Ok, ok... ascolta. Forse, per qualche tempo, è meglio tenersi alla larga da qualsiasi cosa che non sia pura vita quotidiana. Tanto per capire cosa stia succedendo, se non ci stiamo immaginando tutto”
Siamo seduti entrambi sul letto. Si avvicina un po' di più a me.
"... insomma - continua lei - ci vuole una terapia d'urto. Per almeno due o tre settimane, ti converrebbe farti chiamare solo col tuo nome di battesimo. Scrivere meno che puoi. Fare cose abbastanza banali che non ti occupino molto la testa. E, soprattutto, tenerti bene alla larga da tutto questo"

Annuisco finché volete, ma la mia attenzione non è totalmente lì. Io stesso non sono del tutto lì, o almeno questa è la mia impressione.
Da quando si è avvicinata, buona parte della mia attenzione viene sviata sulla curva del suo naso, sugli occhi che spiccano nella pelle nera, profondi e molto, molto grandi. Quel tipo di grandezza che risveglia una stramba e ingiustificata nostalgia di chissà che cosa.
Occhi che adesso mi stanno fissando, chiedendomi silenziosamente quanto sia stato ad ascoltare tutto quello che ha detto.

"Credimi, è difficile, dopo averne avuto un assaggio. E'... è che è tutto fantastico, anche le cose peggiori".
Mi sembra una frase goffa e idiota non appena mi esce di bocca. Però è vera, senza dubbio.

Resta a studiarmi, con la stessa espressione di prima. Poi scuote la testa."Non tutto è fantastico, credimi. E le cose davvero peggiori... oddio, vuoi vedere le cose davvero peggiori?"

Mi esibisco nel mio miglior sorriso da scimmia. Quello che la incupisce tanto e che a me, invece, negli ultimi tempi riesce sempre così bene.
" Ti assicuro che il mio concetto di davvero peggiore ha subìto una ridefinizione bella grossa, da quando abbiamo visto il primo Agente della Coerenza"
"Fidati, nemmeno questo sarà uno spettacolo piacevole", risponde lei, mettendosi al computer e scrivendo l'indirizzo di un... forum? sito? Sembrerebbe un forum.
http://www.stormfront.org/
"Guarda", mi dice.

E' in inglese, ma lei clicca rapida sulla sezione italiana.
Guardo, giusto una scorsa veloce ai topic.

E' lecito avere amicizie non ariane?
Messaggi subliminali fomentatori di meticciamento nei vari media.
INVASIONE ALLOGENI: 4 MILIONI! (IL 20% IRREGOLARE!)
BUON COMPLEANNO, ADOLF HITLER!
Quando si dice che i negri sono cretini.

Guardo verso Regina."Ma dai, sono chiaramente dei mentecatti. E allora? Lo metto nei bookmark insieme a quelli di Comunione e Liberazione, così li leggo quando voglio sentirmi una persona più intelligente della media"
Regina mi fissa. La sua espressione è seria, seria come non mai. "Sapevi che c'è gente dei nostri, tra loro?"
"Mi prendi per il culo?"
No, non lo sta facendo, ovviamente. Si vede che, in questo momento, l'idea di scherzarci su è parecchio lontana. Sia da parte mia che da parte sua.

"Sono anni che raccontano la stessa storia. Parlano di razze superiori e razze inferiori. Dicono che i campi di concentramento non sono mai esistiti, che è stata solo propaganda. Raccontano una storia falsa, che potrebbe venir smentita da chiunque abbia un nonno ancora in vita. E sai perché?"
"Perché... merda... perché credono che più gente convinceranno che è andata davvero così..."
"... più riusciranno a riscrivere davvero il passato. Bravo, stai imparando bene. E più ci penso, più sono le volte in cui mi chiedo se non sia una difesa legittima, l'esistenza degli Agenti della Coerenza"

Restiamo in silenzio, un silenzio rotto solo dal ronzare dell'hard disk del pc di Regina.
Guardo ancora un po' lo schermo.
Sorrido.

"Fatevi questo esempio di meticciato, teste di cazzo", ghigno, prima di baciare Regina sulle labbra.
"... Hanuman?", dice lei, spalancando gli occhi.

mercoledì 1 ottobre 2008

Capitolo diciassette: Qasatacapalaranamahadaga

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Il resto è puro delirio.
Mi ritrovo a casa, senza la pallida idea di come esserci arrivato. Un attimo prima, sono lì pronto a collassare. Un attimo dopo, ed eccomi nel mio letto. Tutto così, senza soluzione di continuità tra una scena e un'altra, esattamente come se qualche invisibile Signor Regista avesse deciso, a un certo punto, di eliminare le parti poco interessanti e prodursi in un bel cut.
Aspetto la mattinata, poi chiamo Eco. Gli dico che mi è successo qualcosa, mentre ero via. Che non so bene nemmeno io cosa, non lo ricordo.
Mi dice di aspettare un paio di giorni. Un paio di giorni e ci troviamo.

"Eco, io ho bisogno di capirci qualcosa ADESSO"
"Un paio di giorni, Hanuman. Vedrai che scorreranno veloci"

Eccome, se scorrono veloci.
I due giorni successivi cadono a piombo in una giostra di piccole formalità che non faccio in tempo a sbrigare, amici che non faccio in tempo a sentire, perfino qualche puntata di Torchwood che non faccio in tempo a vedere.
Di nuovo, il Regista Invisibile opera dei tagli necessari a tener viva l'attenzione. Così, mi ritrovo, come se nemmeno fossero passati dieci, quindici minuti. Un mucchio di passato alle spalle, un presente sbigottito e un futuro che non se la passa troppo bene.

Eco e io parliamo nel solito bar. Anche la sensazione a guardar fuori dalla vetrina, è la solita. Una boccia per pesci, in cui centinaia di volti si fanno largo l'uno addosso all'altro, correndo, salutando, ripetendosi e ripetendo sempre le stesse parole.
Eco ha un tempismo straordinario, nello scegliere di darci appuntamento sempre a un'ora in cui qui non c'é quasi nessuno. Fortuna da cospiratore, la chiama. Mi piace molto, come termine. Fortuna da cospiratore.

"Quindi li conoscevi?"
"Qualcosa", risponde Eco, con un tono che sembra sottointendere tutto.Manda giù un sorso di una qualche strano the aromatizzato, in una tazza marrone, un po' sbreccata, incompatibile all'aria sofisticata che gli piace assumere sempre.
"Ho conosciuto Araba Fenice, non appena si era unita ai Poeti Estinti. Saranno stati un po' di anni fa, ed ero ancora confuso", continua lui.
Poi resta in silenzio, dandomi la sensazione strana di voler aggiungere qualcos'altro, senza poterlo fare.

Rimaniamo un po' in silenzio."Cosa credi che mi stia succedendo?"
Si stringe nelle spalle, cercando nel fondo della tazza un qualche oracolo che gli suggerisca come attaccare il discorso. Un lenzuolo azzurro sventola da una bancarella sulla strada proprio davanti a noi. Visto da qui, assomiglia a una specie di vela e, non so perché, mi provoca una strana via di mezzo tra invidia e nostalgia.
“Questa è una risposta che non posso darti. Tu stesso mi hai impedito di farlo”

Rimango a guardarlo come uno stupido, condizione a cui mi sto inesorabilmente abituando.
"Scusa Eco, ma che cazzo stai dicendo? Se ti ho chiamato due giorni fa, è stato proprio per farmi spiegare da te che cosa sta succedendo”
"Ascoltami bene. Può darsi che tu non lo stia percependo ora, ma hai infranto tutte le regole del gioco. Una a una"

Resto in silenzio per un bel po’. Mi vengono in mente un paio di cose da dirgli, ma richiudo la bocca in tempo.
“Cosa intendi, per regole del gioco?”

Eco si sporge lungo il tavolo. Per la prima volta, lo vedo fare attenzione alla possibilità che ci stia ascoltando qualcuno… e anche un ruga di preoccupazione, che non mi fa presagire nulla di buono.
“Intendo che quello che stai facendo è molto pericoloso. E tu lo fai a cuor leggero, senza nemmeno rendertene conto. L’unica cosa che posso fare, è raccontarti una storia. Poi, trai tu le tue conclusioni”

“Va bene – dico alla fine – Va bene, raccontami la storia”

Eco rimane a cincischiare con la sua tazza sbreccata. Ne accarezza l'orlo e agita quel che c'è rimasto dentro. Per una volta, più he teatralità sembra sincero imbarazzo, difficoltà nel trovare le parole giuste. Non proprio la norma, per lui.
"Una volta fecero uno strano esperimento con Kafka. I primi Narratori Criminali"
"Con... Kafka?"
" Al buon Franz venne comunicato che su di lui pendeva un processo, senza specificare i capi di accusa né nient'altro. Lo tormentarono per mesi. Il Processo... l'hai letto, vero? non è propriamente un romanzo. E' più un diario"
"Ma perché una cosa simile?"
"Come ti ho detto, fu un esperimento. Volevano vedere cosa succede, quando immergi qualcuno in una situazione da romanzo. Cosa ti rende umano, Hanuman? La percezione della realtà attorno e dentro di te, ti rende umano. Nient’altro. Quando la realtà attorno a te è pura finzione letteraria… allora anche tu diventi il personaggio di un racconto”

"Aspetta", dico dopo qualche minuto "Vuoi dirmi che volevano trasformare Kafka in un personaggio letterario?"

Eco non risponde subito. Le vele azzurre continuano a sbattere sulla bancarella della strada di fronte, e la sua voce non arriva.
La sento dopo una pausa che sembra essere durata ore, proprio quando mi volto per spezzare il silenzio.
"Quello che i Narratori Criminali hanno sempre voluto fare è stato questo, se ci pensi. Prendere il controllo della propria trama"
"E questo cosa c’entra con me?"
"Lo vedrai - commenta Eco con un sorriso – Tu sei un pazzo, Hanuman. Un pazzo pericoloso. Posso dirtelo solo ora, che siamo in uno strano spazio neutro all’interno della storia”
"Eco… per piacere, piantala un attimo di fare l’uomo del mistero e spiegati meglio"
"Lo vuoi davvero? Bene, lo farò".

Quando alza il sopracciglio e la bocca si piega in un sorriso così secco da sembrare una ruga, mi sento d'essere del tutto l'idiota che giustamente sono.
"Presto, scriverai della nostra conversazione sul tuo blog. Qualcuno, in un commento, ti dirà di cercare un certo Von Beck. Uno che conosce bene gli eggregori e che può darti una mano nel tuo piano assurdo di uccidere Michael Jackson con una macumba letteraria". Si ferma solo un attimo, per controllare le mie reazioni. Nessuna, sto ad ascoltarlo e ho paura, sì. Molta paura.
“Allora – continua lui – ti metterai in cerca di Von Beck. Seguirai un percorso. E questo percorso ti porterà a fare esperimenti. Esperimenti strani come quello su Kafka. E ti renderai conto di quanto possano essere agghiaccianti”
“Oppure – commento con un sorrisetto che non vorrebbe essere così tremante – se qualcuno mi nomina questo Von Beck, potrò fargli una bella risata in faccia e continuare sulla mia strada”
“No, Hanuman. In un racconto, il libero arbitrio non esiste. In realtà tu stai già cercando Von Beck. E tra pochi giorni, ti rivolgerai a me come se questa conversazione non fosse mai avvenuta”

Respiro a pieni polmoni, lasciando passare il momento in cui il cameriere viene a prendere la tazza di Eco. Io non ho preso niente e me ne pento: vorrei mangiare come un maiale, solo per sentire il sapore del cibo sotto i denti, masticarlo, sentirlo croccante e fisico, mentre mi scende nello stomaco.
Però non ordino nulla.
"E a Kafka cosa successe? E' morto e sepolto, e non mi pare sia diventato il dio degli Impiegati Angosciati"
"La sua metamorfosi durò molti anni e fu quasi impercettibile per la maggior parte delle persone. Ti assicuro che siamo in pochi a sapere che non era la tubercolosi, il motivo per cui non riuscì a dire più una parola, prima di morire..."
Si alza e prende la giacca. Sempre lo stesso segnale per dirmi che la conversazione sta finendo.

"... semplicemente la voce era diventata lo stesso ronzio di uno scarafaggio"