sabato 20 dicembre 2008

Capitolo venti. Qasatalavaradagacahafanapa

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KDigger l'ho conosciuta dalle parti di Rimini.

Beveva birra ai piedi di un gigantesco idolo metallico, con gli altri della tribù tutt'intorno. Non mi ricordo se, quella sera, nel loro accampamento ci fosse anche un concerto. Poco importava: anche quando, il concerto sarebbe stato una trappola per portarci lì, tra di loro. Davanti al totem.

Non dico che l'idolo fosse la cosa più strana lì in mezzo. Lo spazio su cui camminavamo era una sorta di officina all'aria aperta, tra lamiere abbandonate e altre lamiere trasformate. Camper. Mostri di acciaio. Ducati pieni di altra ferraglia, che non dovesse finire mai. L'indigestione da sense of wonder post-urbano era ovunque girassi gli occhi.
L'idolo, però, aveva un qualcosa di tutto suo.
Noi stranieri, noi gaijin, ne eravamo attratti tanto da fargli cerchio intorno, un cerchio che tutti facevamo ben attenzione a non invadere. Senza nemmeno rendercene conto, gli offrivamo l'unica cosa di cui avesse bisogno: uno spazio sacro.

Era una scultura di... bah, sparando a caso, direi tre, quattro metri. Nei miei ricordi, in realtà è grande e imponente come uno dei boss finali di Doom. Invadeva il cielo, sfidava ogni reticenza a essere adorato. Il muso di metallo levato in alto, il torso e le braccia fatti di lamiere, molle, acciaio saldato, bulloni svitati e riavvitati con cura. Un velo di ruggine a ricordarci che pure gli dei se ne vanno in malora e una pelle di ferro a renderci altrettanto chiaro il concetto che, comunque, lo faranno un po' dopo di noi, ma senza divertirsi a invecchiare.
Il muso lo ricordo grossomodo simile a quello di un toro; non ci giurerei, certo, ma ho una vaga traccia di corna, che cerco ancora di capire come stavano su.

Noi gaijin lo guardavamo con apprensione, perfino io. La tribù invece, che pure credeva nel totem molto più di noi, sembrava parecchio più a suo agio. Sbracata ai suoi piedi, a chiacchierare e bere birra, per restituirci lo sguardo solo ogni tanto.

Era la prima volta che mettevo piede a Mutonia, la piccola città dei Mutoidi.

Visti così, sembravano davvero cattivi usciti da un remake di Mad Max o da un episodio di Hokuto No Ken: non li ricordo nemmeno troppo distinti, più come un incastrarsi di capelli sparati al vento, canotte, maschere da saldatore, piercing e acciaio su acciaio che cercava di restare disperatamente abbracciato alla carne. O, almeno, di non allontanarsene troppo.
Credo fosse una di quelle volte (vi assicuro, si contano molto meno di quanto non potreste immaginare leggendo quello che scrivo) in cui mi sentivo un po' più scimmia che essere umano, e ruppi il cerchio, tirando dritto proprio verso quella ragazza, con gli occhi tenuti nascosti da un cappellino a visiera e i capelli saturi di rosso.
La tribù mi fissava e, adesso, anche i gaijin. Lo sguardo, tradotto in lingue un po' diverse, era la stessa curiosità e compatimento furbo.

Una parte di me aspettava ansiosamente che qualcuno dei Mutoidi prendesse fuori un coltello e, con una risatina da sgherro cattivo, iniziasse a leccarne la lama.
No, ovviamente nessuno sembrava deciso ad accontentarmi in questo senso.

"Come si chiama il dio di ferro?"
La ragazza, adesso, mi stava guardando. "Non ha mica un nome".
"Ah, non prendermi in giro. Che gusto c'è a essere un totem d'acciaio, se nessuno può chiamarti in nessun modo?"
Un piccolo sorriso, sul suo volto. "Sogna Ridendo. E' un truffatore, come Coyote degli indiani o Hanuman degli altri indiani. Uno che ti fa credere di essere tanto grosso, ma che se la gioca tutta sulle parole e le illusioni"
"Ho un po' presente il tipo"
Un breve attimo, poi mi sono trovato la bottiglia di birra davanti, per un sorso. "Senti... non so dove o quando, ma sono sicura di aver già visto la tua faccia in giro. Non è che conosci una tizia che si chiama Regina?"

Così si chiacchiera, si beve e, sì, magari ci siamo già conosciuti, ma nessuno dei due riesce a ricordarsi bene dove.
E, sì, conosce Regina perchè ne condivide gli interessi. Più o meno.

Torno a Mutonia una settimana fa, dopo un po' di tempo. Ci vado solo quando c'è un'occasione per farlo: un concerto, una performance, una festa... non sono tante, quelle che organizzano i Mutoidi. Senza, però, non mi troverei a mio agio; per quanto sia magari più a mio agio di altri, resto pur sempre un gaijin.
Però il Festival dei Teatri di Santarcangelo è lontano e non credo che i Mutoidi si esibiscano da qui a poco tempo.

E, davvero, ho bisogno di una mano da KDigger.

Trovo qualche totem in più e qualche totem in meno: mentre ci aggiriamo tra i camper post-atomici di Mutonia, KDigger mi spiega che in realtà ogni installazione rappresenta sempre lui, Sogna Ridendo, che cambia forma e ci insegna che anche l'acciaio non è così immutabile come si crede. Non lo sa nessuno, aggiunge, è un segreto che adesso conosciamo solo io e lei, neanche gli altri Mutoidi che ci lavorano giorno e notte, a quelle sculture. Visto che la spiegazione mi piace, la tengo per buona.
Sta diventando un po' la mia filosofia di vita, credere a tutto quello che mi fa simpatia.
Anche lei è differente: nuovo cambio di capelli, qualche tatuaggio in più, un piercing sul sopracciglio, che prima non aveva. Non ha nemmeno più il cappellino.

"Così, vuoi veramente uccidere Michael Jackson?", mi chiede.
"Ah-ah"
"Ma c'è un buon motivo per farlo?"
"E c'è un buon motivo per non farlo?"
"Non ti ha fatto niente"
"... si fa chiamare Re del Pop"

Keidì alza le spalle, come per dire mi arrendo.

"Quello che non ho mai capito della gente come te, o come Regina, è questa vostra ostinazione a lavorare con le parole. Santificare le parole. Le parole non sono niente, sono ammassi di suoni che raggrumi per definire le cose. E' come dire che la foto di un posto è più importante del posto - mi dice, mentre mi porta a un tendone particolarmente grande, che è sempre rimasto chiuso a tutto il resto del pubblico da quando vengo qui in visita - Creare cose ti fa sentire parte di un mondo. Saldi, distorci, fondi, cambi. Sbatti contro degli ostacoli fisici. E capisci che è quello che succede anche a te... capisci di avere limiti", prosegue poi.
"Limiti?"
Davanti al tendone, due Mutoidi mangiano spaghetti scotti su piatti di carta. Non dico che sembra stiano facendo la guardia, ma quasi. Si voltano verso di me e, quando vedono che sono con KDigger, i sorrisi diplomatici da scusa-qui-non-puoi-entrare si trasformano in sorrisi veri.
"Begli occhiali!", dice uno, rivolto ai miei occhiali da aviatore anni Trenta.
Ricambio con un cenno della testa.
"Ma i limiti non dovrebbero essere un po' stridenti con l'idea di cambiare?", proseguo con KD.
"Il cazzo. Se hai dei limiti, cambi concretamente. Se hai solo parole, non ti trasformi mai, hai sempre una scappatoia per tornartene indietro. Entra, ti mostro una cosa"

Il tendone, dentro, è freddissimo e vuoto. No, ad abituarsi un po' al buio, ti accorgi che non è vuoto per niente. Centinaia di mattoncini LEGO sono sparsi per terra, buona parte alla rinfusa e altri già incastrati in quella che sembra una base quadrata, così estesa da coprire una bella porzione di pavimento. Le lampade a neon le tolgono ogni possibile forma di chiaroscuro: è così com'é, netta e senza compromessi. A incastrare i pezzi, c'è un ragazzino dalla faccia seria che ha lo stesso cappellino di KD.
"Trovatore, ti presento Hanuman".
Il ragazzino si volta. Quanti anni? Dodici, al massimo. Porta il cappello esattamente come lo portava lei, tenendo gli occhi un po' nascosti.
"Ti chiamano Trovatore perché sei una specie di poeta?", chiedo tanto per attaccare bottone.
"Trovatore perché trovo le cose", mi risponde lui, serissimo, facendomi davvero sentire un coglione.
Cammino intorno alla base quadrata. Tutti neri, i mattoncini, nessuna traccia di colore.
"E' un po' diverso da quello che costruite da queste parti di solito".

Trovatore annuisce. "Quando sarà finita, sarà una Ziggurat. La Ziggurat Nera"
La guardo a lungo. Non sembra rassicurante, per quanto sia fatta di mattoncini LEGO raccattati chissà dove. Anzi, forse proprio per questo motivo. E' qualcosa di asettico e misterico, una sfinge geometrica che da scimmie potrebbe farci evolvere in uomini, ma senza prometterci alcuna gentilezza nel farlo. E' facile dimenticarsi di esser venuti fin qui per farmi dare da KDigger quei due nomi, gente fidata a Castello, che potrebbe portarmi da Von Beck.
E' facile gironzolare attorno a questa piramide post-moderna e vederla come la fine di un viaggio, per quanto non lo sia.

"Come mai volevi mostrarmela?", chiedo a KD.
"Perché così è più facile spiegare quello che volevo dire. Che le parole sono fatte per chi non ha pazienza, ha troppa fretta. Costruire è un'altra faccenda. E' una questione di trovare i mattoncini giusti"
"Per costruire una piramide... una tomba?", mi viene spontaneo dire.
"Una piramide è una tomba. Ma una ziggurat è una scala", mi risponde Trovatore, prima di aggiungere altri mattoncini.

5 commenti:

Unknown ha detto...

lo sai si che pare che il Michael stia messo malissimo e stia morendo? mi sa che ci stai riuscendo alla grande anche con le parole, amico!

Anonimo ha detto...

Sei davvero sicuro che sia così facile? Che sia un eggregore e non un avatar? Nel qual caso...

Anonimo ha detto...

Se vieni a trovarmi ti offro una tazza di tè, o un bicchiere di assenzio, o di latte di mandorle, o una tazza di caffè, o una tazza di latte e biscotti. O una scodella di zuppa, o un calice di barolo, o un piatto di fagiolata (fondo), o una zuppiera di pastina in brodo, o una brocca d'acqua. O una capapadacadadabatatara.

Tiziano De Martino ha detto...

Sto recuperando pian piano il tempo perduto...complimenti comunque il ritmo incalza ogni volta di più...

Anonimo ha detto...

non so k sei ma hai reso un sacco l' atmosfera complimenti!!!...mmmh.. è un pò k cerco d capire dov' è questa mutonia...sapresti dirmi???