venerdì 20 giugno 2008

Capitolo due. Pasaranatama

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Risparmiamoci il racconto di come li ho conosciuti, almeno per ora.

Verso le dieci di sera, sono davanti al portone in via del Pratello. Eco è proprio accanto a me, a spulciare tra i nomi sul citofono e a rivolgermi un sorriso che magari vorrebbe pure essere rassicurante.
Non ci riesce. Riesce solo a farmi montare il nervoso sempre di più.
E' che io, alle feste, non mi diverto mai. Davvero, fin dalle superiori. Vabbé, le feste delle superiori non fanno testo perché erano veramente una merda, ma è un discorso che va bene anche in generale.
Credo sia un accenno di claustrofobia. Insomma, devi rimanere chiuso nella casa in cui si fa la festa. Devi spassartela, magari anche se non ti sta passando proprio bene. Devi prestarti a fare qualcosa di stupido che non avresti mai voluto fare in condizioni normali. E se hai la disgrazia di non avere una ragazza al seguito, la sensazione di claustrofobia cede il passo a quella di angoscia. Per arrivare al desiderio di suicidio quando c'è magari qualcuna che ti interessa.

Questa sera, grazie al cielo, che mi interessa non c'è proprio nessuna. Sono tutti sconosciuti. Non è comunque una bella notizia, ma almeno ho qualche speranza di rompermi solamente le palle invece che farmi anche il sangue cattivo.
"Basta che ti limiti a esser molto bello", mi raccomanda Eco, sorridendo ogni frase come Ecclestone nel Doctor Who.
"C'ho provato"
"Non direi". Suona.

Mentre aspettiamo che qualcuno ci apra, penso alla festa di compleanno di uno che conoscevo. C'era anche questa mia amica che, a un certo punto, mi prese da parte.
Mi disse di smettere d'essere così ingrugnato, e poi mi stampò un bacio sulla fronte per addolcire la pillola. Non ero ingrugnato, affatto.
Cazzo, lo sembro davvero così tanto, in occasioni del genere?

"Chi è?", chiede una voce femminile al citofono.
Eco non risponde. Dopo qualche secondo faccio per avvicinarmi e rispondere io. Eco mi fa cenno di star zitto e io lo guardo, senza capirci niente.
"Ok, salite", fa la voce. Il portone si apre.

Saliamo due o tre rampe di scale. Mi accorgo di respirare a fondo, sbuffando fuori l'aria dai polmoni, come faccio ogni volta che sono nervoso. Lo sono un po' troppo, anche per una festa verso cui parto prevenuto.
Quando arriviamo, la porta è appena socchiusa e da dentro arriva Ceremony dei New Order, a un volume che prende a pugni la gola e lo stomaco. Mi sembra di entrare di nascosto, così, senza nessuno all'ingresso.
Eco annuisce al nulla, e sussurra un fantastico! Sembra sempre più il Dottore.

Dentro c'è un carnaio di gente. Un corridoio di facce che chiacchierano e di braccia che tengono in mano bicchieri mezzi vuoti. Un muro si suono che ci si abbatte addosso e mi fa chiedere in virtù di quale miracolo nessuno abbia ancora mandato i Carabinieri o chi per loro.
E, soprattutto, sono tutti in maschera.
Le maschere da animali vanno per la maggiore. Quelle... come si chiamano, a larva? che coprono solo mezza faccia. Un paio sembrano fatte a mano e una - a forma di volpe -è talmente uguale a un'altra che ho pure io, a casa, che non riesco a impedire di fissarne la proprietaria. Lei se ne accorge, agita una mano e sorride. Per un momento, è come se la sentissi complice di qualcosa, non so di cosa.
Alcuni hanno invece quelle maschere bruttissime che andavano di moda negli anni Ottanta, quelle che si indossavano da bambini, di plastica infima e con le facce dei personaggi dei cartoni animati. Conto un paio di He-Man, di cui uno sta limonando con Skeletor. Roba da fargli una foto e metterla come simbolo dell'amore che sistema ogni divergenza.
E poi le immancabili di Scream e di V, puntuali come Battisti suonato in spiaggia, nella fase più triste di un falò all'aperto.
Un paio di tizi mi salutano. Contraccambio. Eco non me li presenta e mi trascina dritto verso un'altra stanza, prendendomi per il polso.
Gente balla in cucina. In sala, tre tizi, mascherati da scimmie, guardano Metropolis in DVD, su un televisore ultrapiatto e con lo schermo abbastanza grande da spararmi lo sguardo stralunato dell'androide, piantato (ci giurerei) proprio contro di me.
Mi sento come se improvvisamente fossi stato catapultato in una versione più alla mano di Eyes Wide Shut.

Una ragazza vestita di nero mi guarda malissimo, una faccia come se le avessi appena ucciso un parente. Stringe le labbra e pregusta il mio sangue. Eco ci parla, indicandomi. Lei annuisce. Indica il corridoio.
Eco annuisce e viene verso di me. La ragazza continua a fissarmi sperando che io muoia. Magari è perchè sono l'unico che non è travestito o vestito strano o che. Non è colpa mia, non me l'ha detto nessuno. E anche Eco è vestito normale, solo un po' più elegante.
La musica sembra aumentare. Qualcuno dev'essere salito ed essersi messo a ballare su un tavolo. Si sente uno sbattere ritmico che, finita Ceremony, va a tempo con una canzone dei Blur.

"Lei è in camera sua, che ti sta aspettando", mi fa Eco.
"Lei chi?"
"La padrona di casa. Quella che ha organizzato la festa. La tizia di cui ti parlavo"

Ah. "Dove?"
"Corridoio, poi a sinistra"
"Corridoio, poi a sinistra", mi mastico tra i denti. Gli faccio un cenno di saluto, sentendomi un po' ridicolo perchè non è che mi sto spostando poi chissà dove.
Quando busso alla porta in-fondo-al-corridoio-a-sinistra la voce che prima aveva risposto al citofono mi dice di entrare. Ha un tono deciso, che non so se mi sta antipatico o meno. Sospendo il giudizio perché non mi suona arrogante.

E' seduta a gambe incrociate, coi piedi nudi, questa ragazza di colore coi dread, che avrà grossomodo la mia età, o forse qualche annetto in più. Giusto due al massimo. Non glieli dai da nient'altro che gli occhi e l'espressione abbastanza seria. Davanti a lei, sul letto, una scacchiera.
"Cristiano?", mi fa.
Annuisco. Vorrei dire qualcosa di simpatico ma mi riesce vagamente imbarazzante chiederle anche il nome. Non glielo chiedo e, a lei, sembra andare benissimo così.
Mi sorride, mi fa cenno di sedermi sul letto.
Ho la naturalezza di una spranga d'acciaio.

Mi dice che Eco gli ha parlato molto di me. Per un momento, non faccio molto caso a nulla, oltre al suo modo di parlare. Ha una cadenza africana forte e stacca le parole con durezza. Mi piace.
Con troppa sicurezza, gli racconto la mia chiacchierata con Eco, di qualche giorno fa. Di come mi ha detto che loro sono capaci di far cose. Lei sorride, come se avessi appena esagerato un po' la realtà delle cose.
"Giochi a scacchi?", mi chiede.
Gioco. In realtà sono più bravo a cazzeggiare per mangiare pezzi che a fare una strategia per lo scacco matto.

"Bianchi o neri?"
Mi guarda fisso. "Bianchi, apro io"

1 commento:

Spiridion ha detto...

Ciao. Ti ringrazio dei commenti e te li giro di conseguenza..ho letto i tuoi post ed ho deciso che sei bravo, per cui come premio ( che merda di premio è penserai, ed io più che darti ragione non posso fare, considerando anche che sono fondamentalmente un coglione) ti linko!