lunedì 4 agosto 2008

Capitolo dieci. Ravadalamacanaxa

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Comincia a seguirci non appena scendiamo dal treno.
Non me ne accorgo, sulle prime. E' Regina a farmelo notare, in mezzo a quattro chiacchiere sui nostri videogiochi preferiti di sempre (Planescape Torment per me e Deus Ex per lei).
Mi dice: "Cammina come se andasse tutto bene", così, in mezzo al discorso.


E prima di capire cos'è che non dovrebbe andare bene, sento i passi dietro di me.
Non è tanto sentire dei passi, capite: in stazione a Rimini, in piena estate, è tutto fuorché un evento eccezionale. E' il distinguerli nettamente dagli altri.
Rigidi, secchi, cadenzati. Sembra la camminata di qualcuno abituato da anni a marciare al passo dell'oca e che si sforzi di nasconderlo. Senza riuscirci. Perchè il passo dell'oca ormai gli scorre dal cuore alle gambe, fino al cervello, senza ritegno.

"Ok...", comincio.
"No. Non c'è nulla che sia ok", mormora veloce lei, sputando le parole così rapidamente che faccio fatica a sentirle.
"Ma è per quella roba che ho fatto in treno?"
Sto parlando con la voce abbassata. Odio parlare con la voce abbassata senza rendermene conto. Di solito vuol dire che non c'è una ragione per cui lo stia facendo. Solo perché si fa così.
Regina scuote la testa. "Non so, può essere. Per me ci seguono da prima. Te l'ho detto che, da quando t'abbiamo iniziato, si sarebbero accorti di te".


Camminiamo veloci dalla stazione, dritto per dritto, senza fermarsi. Attraversiamo una strada col rosso. Una macchina ci strombazza dietro e io per un attimo ho l'impressione che ci metterà sotto, proprio come quella volta in cui ho rischiato di essere investito da ragazzino, con la cassetta di In Utero in tasca e


Regina mi afferra una mano. Inizia a camminare più velocemente.
Anche i passi dietro. Chiunque ci stia inseguendo, me lo immagino che si fa largo tra le persone, spintonando, standoci sempre dietro. Non troppo attaccato a noi, finché c'è gente. Abbastanza per fare la sua mossa quando ci ritroveremo da soli.

Qualcosa dentro di me, ne è sicuro.
Fanno sempre la loro mossa quando stai da solo. Non so perché ma so che è così.


Accanto a noi, le case sanno di fatiscente. Mentre Regina mi strattona lungo la strada, le vedo trasformarsi: da magazzini ferroviari, cimiteri di macchine e di ferro, diventano brutte case. Poi le brutte case diventano vecchie villette. Le vecchie villette diventano il centro della città, un centro che sembra un lungo corridoio d'asfalto, incredibilmente spoglio e desolante a quest'ora in cui tutti sono al mare.

Non mi accorgo di quanto fiatone ho, finché non ci fermiamo per improvvisare una strada in cui andare. Destra o sinistra, testa o croce. Ansimo come uno di quei vecchi cani con la lingua a penzoloni. Ho gli occhi sbarrati e voglio solo correre ancora.
Perché cazzo sono così spaventato?

Faccio per...
"Non voltarti indietro - dice Regina - Non lo guardare. Non dargli la sola idea che sappiamo cosa sia"
"Io NON SO cosa sia, Regina"
"Seguimi, presto!"


Mi afferra di nuovo la mano e mi trascina a destra.

Faccio il bravo, non mi volto. Ti riesce sempre molto semplice fare il bravo quando hai una paura fottuta.
"Non immaginarlo. Immaginarlo potrebbe dargli potere", sibila lei.
"Eccheccazzo, e poi?"

Qualcuno ci guarda. Un paio di vecchi che sembrano saperla lunga sul nostro conto, e ridono e parlano in dialetto. Una ragazzina con una ciocca di capelli colorati di blu elettrico e una maglietta dei Death in Vegas. Un padre che spinge una carrozzina.
Perché ci stanno guardando? Cosa succede?

I passi dietro di noi, che continuano sempre alla stessa cadenza, sempre alla stessa distanza, nè più affrettati nè più stanchi.


"Presto!", fa Regina, con la voce che si impenna in alto e gli occhi sbarrati. Stringe più forte la mia mano. Inizia di nuovo a correre. Inizio a correre anche io, senza un come o un perché. Corriamo come se ne andasse delle nostre vite.

Chiudo gli occhi.

Non me ne frega un cazzo di dove stiamo andando, mi frega solo di sapere che ce ne stiamo andando da qualche parte. Regina mi strattona da qualche parte. Verso sinistra, dentro un vicolo. Io penso soltanto

In un vicolo, come nei peggiori inseguimenti da film
e poi
ci prenderanno, ci prenderanno siamo spacciati, non possiamo farcela
e anche
è sempre quando sei da solo, che fanno la loro mossa.

Lei è terrorizzata, io anche.
"Non abbiamo molto tempo"
"Da che cazzo stiamo scappando?"


Dentro al vicolo. Sedie vuote di un baretto che è in chiusura estiva, o più probabilmente in chiusura di turno. Una libreria proprio davanti a noi.
Regina mi fa cenno di aspettare, vicino alla vetrina della libreria, e si sporge dall'imboccatura del vicolo per controllare.

"E' ancora lontano", dice. Io mi chiedo come faccia a essere lontano, visto che l'ho sempre sentito attaccato a me, ogni momento, sempre i suoi passi dietro. Me lo chiedo in silenzio, perché sapere che non è proprio alle nostre costole mi risulta parecchio rassicurante.
E chi sono io per mettere in dubbio quel po' di sicurezza con qualche domanda?

Cristo che razza di schemi di pensiero di merda, mi mette in circolo 'sta cosa.


"E' un agente della Coerenza"
"Coerenza?"
Lei continua a buttare un occhio all'entrata del vicolo. "Ti ricordi in treno, che mi chiedevi come mai la Realtà non cambia di continuo, visto che basta una storia convincente per farlo? E' a causa loro, di quelli della Coerenza"
"Ma cosa cazzo sarebbero?"
"Non lo so. Non lo sa nessuno di noi. Sappiamo solo che esistono. Hanno scritto questo mondo e le sue regole. E ogni volta che qualcuno o qualcosa fa per cambiarle, provvedono a individuare l'errore narrativo e a eliminarlo. Proprio come faresti tu, quando cavi un'incongruenza in un racconto"

Recuperiamo fiato. Mi sento quasi febbricitante.
"Quindi loro sono... uh... nostri nemici?"
Regina annuisce. "Più o meno, anche se non è una questione di nemici o amici. Loro non ci considerano nemmeno esistenti, finché non facciamo qualcosa che sconvolge le regole. Te l'ho detto, sono il cancellino di Word che cava via i pezzi sbagliati di una storia"
"E quindi?"
"Dobbiamo comportarci in maniera coerente", dice lei, sciogliendosi i capelli e facendo un sorriso falso da un angolo all'altro.

"EH?"

"Se ci comportiamo seguendo i loro schemi mentali, non riusciranno a distinguere la nostra presenza in mezzo agli altri, e potremo seminarli indisturbati fino a tornare in stazione"
"Sì, ma come..."
"Ascolta. Io sono nera e tu, ogni frase che dirai, dovrai rimarcare che lo sai e non ti importa. Perché tu sei mio amico malgrado io sia nera, ok?"
"Ma che stronzata é, questa? E' ovvio che..."
"Non importa cosa consideriamo ovvio! Non capisci che il punto è questo? Tu invece, fatti dare un'occhiata... ok, sei gracilino, non fai sport... scrivi poesie?"

"Uh... qualche volta"

"Ottimo. Sei il mio amico poeta che parla solo di poesie. Sei innamorato di me, malgrado il fatto che sono nera, ma io non ti ricambio. Perché io voglio un uomo aitante e sicuro di sé, con pochi grilli per la testa. Tu parlerai solo di poesie"
"Stai scherzando, vero?"
"No, e se qualcos'altro ti suona più squallido o ridicolo di questo, usalo. Ne va delle nostre vite, Hanuman"


Usciamo.

Quasi gli sbattiamo addosso e io mi chiedo come faccia la gente a non accorgersi di lui, a non guardarlo almeno un po' strano. Un uomo vestito come il più archetipico dei Men in Black, di pomeriggio, in una delle estati più calde che ricordi.
Giacca lunga, chiusa. Bottoni fino al collo. Guanti. L'unica cosa che lascia scoperta è il volto. Proprio per questo sono sicuro che non sia vero.
Si ferma, ci fissa. Si aggiusta gli occhiali neri.

Ma quanto è pallido? sembra che il suo corpo sia fatto di carta, per come è bianco. Un bianco di quelli solidi, gessati, che nemmeno ti fanno intravedere le vene.

Regina mi dà una gomitata, mentre ci apprestiamo a camminargli accanto. Aumenta un po' il passo, calca il marciapiede appoggiando il piede come una modella.
L'uomo in nero ci fissa.
Cominciamo lo show.


"Non pensavo di poter parlare di queste cose con te". Oddio, comincio appena e mi sembra di essere davvero un mentecatto.
"Davvero?", trilla lei.
"Sì... anche se sei una donna, con te si può chiacchierare di un mucchio di cose!"
"Anche con te - risponde lei, e la sua bocca si allarga in un sorriso triste - Non capita sempre che qualcuno non si ponga problemi perché... perché..."

Lascia la frase in sospeso, come un assist.

"Perchè sei DI COLORE?", cerco di calcare molto sull'espressione. E non posso fare a meno di guardarlo, l'agente che ci sta fissando. Mi chiedo se ne se accorga. Che lo fisso, cioé. Cerco di far sì che il mio sguardo non si trattenga troppo su di lui, ma è quasi impossibile. C'è una sorta di fascino in quella pura artificialità, in quei lineamenti proporzionati e finti, in quella pelle perfetta. In tutta la sua sintetica presenza.
Ora sembra una telecamera impazzita. Sposta lo sguardo su di me e su Regina. Prima su di me e poi su di lei, poi di nuovo su di me. La gente non ci fa nemmeno caso. Il sospetto che nemmeno lo vedano, adesso, è molto più forte di prima.

"Sì... - mi risponde intanto Regina - Di solito, alla gente non va troppo di parlare con me. Ma tu sei diverso. Si vede che sei così sensibile"
Non ce la faccio più.
"E' perché sono gay, siamo sempre molto sensibili", ghigno.


L'uomo in nero pianta lo sguardo su di me.

"Niente battute, deficiente!", sibila Regina, affrettando il passo. L'uomo in nero viene con noi, ci cammina a fianco, continuando a fissarmi.
Provo a correggere. Se ho capito come funzionano questi cosi, dev'essere l'ironia che ha attivato il suo campanello d'allarme, non la frase in sé.
"Ho scoperto di essere gay da quando scrivo poesie", azzardo, più seriamente.
L'uomo in nero scuote la testa in uno scatto a orologeria, verso Regina.
"Dev'essere dura, per te. Essendo nera, capisco bene cosa significhi essere discriminati"

Non siamo molto lontani dalla stazione. L'uomo in nero continua a muoversi sempre di più come una vecchia sveglia, come un rudere tecnologico. Adesso non siamo più gli unici che sta fissando. Si guarda intorno e ho l'impressione che stia perdendo il segnale.

Decido che è il caso di rincarare la dose.


"Eppure, guardandoti, ora mi viene da mettere in dubbio tutto quanto. Per quanto tu sia di colore, sento di provare qualcosa per te"
L'uomo in nero, di nuovo, si fissa su di me. Ho sbagliato qualcosa un'altra volta?
Sorride. Non credevo nemmeno che potessero farlo. Un sorriso asciutto, una linea dura che sembra una cicatrice.

"Oh... non potremmo essere solo amici?", risponde Regina, con un capolavoro di tormento sul viso.



Pochi minuti dopo, siamo sul treno del ritorno. L'ultima battuta di Regina ha annichilito completamente l'attenzione dell'agente verso di noi. Nonostante questo, non abbiamo spiccicato una parola per almeno mezz'ora, fingendo di guardare fuori dal finestrino. Fingendo, a tratti, di dormire.
Tempo dopo, Eco mi dirà che quello è il loro potere peggiore: quello di spaventarti, spaventarti tanto da non farti parlare più, da farti scegliere con attenzione le parole anche quando non ci sono.

Non va bene. Non mi piace affatto, quindi parlo.


"Chissà che fine fanno, quelli che vengono catturati da loro".
Regina sospira. "Non so... alcuni dicono che ci siano campi di concentramento segreti, in cui vengono rieducati. Altri pensano che vengano semplicemente cancellati"
"Cancellati?"
"Cancellati", dice lei. Inequivocabile.
Rimango zitto per qualche minuto. "Mi ha guardato, prima di perdere del tutto il segnale. Giurerei che abbia pure sorriso"
"Forse qualcosa che hai detto l'ha divertito. Ricordi a che punto della discussione l'ha fatto?"



"No", mento.

6 commenti:

Unknown ha detto...

Oddei!!! Lo so, esistono! Ne ho incotrati di agenti della Coerenza!
Quanto sono brutti... e quanta paura metttono, la paura più brutta: di non poter mai più fare o essere ciò che sei, ti fanno rintanare in una normalità in cui non esisti più, per paura che ti cancellino ti cancelli da solo....
Ma si possono battere! guro, si possono battere!

Eraserhead ha detto...

Buon ritmo questo capitolo, e intrigante quel "no,mento" che apre nuovi scenari.
Il coniglio è molto lynchiano :)

Tiziano De Martino ha detto...

Uno dei capitoli che preferisco, per il ritmo, per la presenza dell'Agente di coerenza stile Matrix e per il finale aperto che è la mia passione.

Anonimo ha detto...

Moonlight
Over
Los Angeles, I
Love
You.

aLeX ha detto...

cavolo, questo agente della coerenza è fikissimo!
proprio bello 'sto decimo capitolo...
grande atmosfera.

saluti esoterici..
aLeX

Anonimo ha detto...

Welllllll,
pare proprio che il racconto proceda di bene in meglio...
Continua a postare, che siamo curiosi!!!!!
§torm§